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About 
ROBOCOOP is an experimental and research art duo project with a background in architecture, currently living between Rome and London.  

Mark

B.  




© ROBOCOOP
Open Call for Architectural Novel  
January, 2018 - September, 2020


B. 
Illustrated novel, published on in_bo ‘Raccontare la città / Narrating the City’, vol. 11 n. 15 (2020).

Capitolo I.
La terra trema


Non faccio altro che rimanere qua, a guardia delle rovine.
Proteggo le rovine dalle persone; le persone dalle rovine.
Un cane da guardia, così la gente mi vede.
Tengo la gente fuori dal perimetro. Ma li capisco, anche io lo farei, se mi trovassi nei loro panni: in fondo questo guscio nasconde i ricordi collettivi, l’identità comune. Anche la mia.
Dalle mura alle torri è stato issato un telo: protegge.
Dalle mura alle torri è stato calato un velo: nasconde.
La terra un giorno ha tremato, ma non come le altre volte.
Porzioni intere di città sono state cancellate; quelle rimaste in piedi hanno danni strutturali permanenti.
Gli edifici antichi hanno subito danni più o meno irreparabili; gli edifici moderni si ergono fra le macerie, stele nella necropoli.
Da quel giorno si sono susseguiti concorsi e progetti e appalti per la ricostruzione.
Ma lo sforzo economico doveva essere di gran lunga superiore al passato e gli investitori privati si sono tirati indietro, attirati da altro.
I progetti sono rimasti sulla carta: la città evacuata e isolata. Una quarantena.

Un drappo è stato teso sulla città: ufficialmente per preservare i resti fino alla data della ricostruzione.
Una barriera è stata eretta lungo il perimetro della città vecchia: ufficialmente per evitare incidenti alle persone.
Ma la sensazione è che tutta la struttura sia stata messa lì a nascondere la prova fisica di quel fallimento.
Ora tutto è fermo: hanno rinunciato a far credere alla gente che lì sotto si stia ancora lavorando alla ricostruzione e al consolidamento.
Si limitano, lentamente, a recuperare e mettere al sicuro le opere d’arte della città.
Ora tutto è fermo perché si è costruito un nuovo centro, dove hanno trasferito chi ha perso casa.
Esiste ora una seconda città, che imita quella vecchia nella dimensione e negli spazi.
Il fantasma della città vecchia.

Una città nuova, pianificata e strategica: infrastrutture e servizi pubblici, sviluppati con nuove tecnologie di mobilità, ambiente ed efficienza energetica.  
Sostenuta economicamente da grossi investimenti privati e dai loro interessi.
Fondata su una piastra, una falda artificiale vibrante, immune ad ogni genere di scossa.
Se la campagna trema, la falda rimane immobile. La vita “dell’isola” continua indisturbata.
I nuovi cittadini vivono apparentemente liberi da preoccupazioni fra le strutture metalliche della loro nuova città.
Sono gli stessi nati e cresciuti fra il cotto e la selenite delle mura storiche.
Fra la sagramatura e la stilatura dei mattoni.
Un senso di smarrimento si è insinuato in questi coloni. Nel tempo è diventato sempre più insopportabile.
Sempre più spesso alcuni di loro vengono colti mentre cercano di lacerare il telo e oltrepassare il perimetro.


© ROBOCOOP

Ho trovato alcuni passeggiare fra i resti, in pieno inverno.
Ho scoperto altri mentre trafugavano dei frammenti di edifici crollati.
Soffrono di una privazione di identità ed hanno bisogno dei luoghi in cui sono cresciuti.
I controlli si sono intensificati.
Pochissimi hanno accesso alla città vecchia: siamo in pochi ad avere questo permesso. (o meglio privilegio?).
Alcuni senza il permesso entrano nella notte: mi arrivano telefonate sul lavoro a tarda notte in cui mi viene ordinato di scortare all’interno gruppi di persone.

Non faccio domande, mi limito ad eseguire.
Sono persone ricche, a comando di convogli di autocarri.
Riempiono i container di qualsiasi cosa: statue, capitelli e dipinti.
Ma anche schegge di marmo, frammenti di portici, porzioni di fregi, colonnine di trifora.
Finiscono in collezioni private all’estero. O in chissà quale casa.

La città sotto il telo viene smantellata e trafugata. Lentamente scompare.
All’inizio non vi facevo particolarmente caso. Poi la cosa ha iniziato a turbarmi.
A infastidirmi. Faccio fatica a girarmi dall’altra parte. Inizio a ricordare i volti di queste persone. Sempre di più.
Nella città nuova si è sparsa la voce di quello che accade di notte sotto il tendone, ma nessuno ne ha prova.

*****
Capitolo II.
Immagini e memorie.


Una mattina si è presentato da me un tale. Aveva vissuto sin da piccolo in una strada del centro. Ora, poco più che sessantenne, abitava alla città nuova.
Mi ha chiesto perché permettessi che succedesse quello che effettivamente, sempre più spesso, succedeva.
Non ho risposto e presto se ne è andato.

Mi ha fatto visita nelle settimane successive durante i miei turni diurni.
Per un saluto all’inizio. Successivamente ha cominciato a raccontare storie.
Solo più tardi ho scoperto essere i suoi ricordi.
Portava con sè vecchie fotografie da lui scattate dentro la città, come scenografie dei suoi racconti.
Storie di quotidianità, ma intrise di dettagli che ricordavano spazi di una città, per me sempre più lontani.

Anche io, da piccolo, avevo abitato dentro la città vecchia. Il lavoro di mia madre ci aveva portati altrove. Ma alcuni particolari di quella gente, di quelle case e di quelle strade mi sono sempre rimaste vivide nella mente.
Fino a quel momento della mia vita in cui avevo iniziato ad assistere ai furti notturni.
Ricordo di essere stato contento quando mi hanno assegnato alla guardia qui in questa città.

Man mano iniziavo a conoscere quell’uomo tramite i racconti della sua vita passata.
Parlavamo poco della sua vita presente, all’interno della nuova città, come se gli  mancassero aggettivi per descriverla, mentre i suoi racconti del passato erano colorati e vividi.

Parlava della città vecchia con la gioia e commozione di chi parla di una persona amata e poi scomparsa. Ma anche con rabbia, per la memoria insultata.
Un pomeriggio mi fece visita portando con sé un dono, una macchina fotografica: in cambio mi chiese di fotografare la città vecchia.
Durante i turni di pattuglia nella città vecchia iniziai a scattare fotografie: ritraevano la miseria di quei frammenti di storia che erano stati abbandonati.

Le mostrai al mio amico, ed insieme ci accorgemmo di quanto i continui furti  stessero decimando i resti. 
Mi implorò di fare qualcosa affinchè questo non succedesse più: ma non avevo il potere per farlo.
Gli chiesi, nonostante tutto, di non fare parola a nessuno di quello che gli avevo mostrato.
Durante quel periodo i suoi racconti e ricordi diventavano sempre più sbiaditi: sempre più dettagli nelle sue descrizioni della città vecchia diventavano imprecisi.
Ed insieme con i suoi, anche i miei ricordi perdevano colore.
Più la città scompariva, più la memoria, con lei, se ne andava.
Era come se stessero rubando dalla nostra mente i ricordi.


© ROBOCOOP

Tutti i guardiani ricevevano favori e denaro in cambio del silenzio.
Anche io, ma a differenza degli altri, sembravo l’unico nauseato e stanco di quella storia.

Iniziai così a documentare i furti con l’idea, inizialmente, di portare alla luce tutto. Ma avrebbe richiesto molto tempo, troppo.
I furti notturni diventavano sempre più frequenti e sempre più pesanti. Mi licenziai con una scusa, salutai l’uomo e finsi di partire per andarmene lontano.

***** 
Capitolo III.
Qualcosa comparve.


Una mattina, qualche tempo dopo la partenza del mio amico guardiano, sul perimetro delle città nuova, comparvero alcuni resti delle nostre antiche mura. Frammenti sparpagliati sul muro, come pezzi di un puzzle.


© ROBOCOOP

Qualche giorno dopo, frammenti di un pavimento alla veneziana vennero ritrovati incollati a terra, sotto i moderni portici della città nuova: e affianco brandelli di capitelli, fissati ai pilastri dei nuovi portici.

Alcuni giorni dopo, comparve una coppia di merli ghibellini in cima al palazzo della piazza e blocchi di selenite alla base della torre e lastre di marmo rosso sulla piazza grande e semplici mattoni sui muri delle abitazioni.
Ogni settimana la città nuova si svegliava con un dono diverso che veniva da sotto il telone.

Le autorità ricercavano il responsabile, accusandolo dei furti che avvenivano alla città vecchia, mentre molti cittadini accoglievano con gioia quello che stava facendo.
A tal punto che molti di loro tirarono fuori dai nascondigli delle loro case i frammenti che, anche loro, in quegli anni, avevano sottratto e portato con se alla città nuova, e iniziarono nella notte a fissarli sui muri e sulle strade.

La città nuova, fantasma di quella antica, cominciò a vestirsi dei suoi frammenti, divenendo un ibrido delle due e agli occhi dei suoi visitatori si presentava come un collage di architettura antica e contemporanea.


Mark